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Collaborazioni con ex dipendenti in pensione

La cancellazione del contratto a progetto ha portato anche ad una rivisitazione di tutte le ulteriori collaborazioni ivi compreso quelle che abitualmente venivano sottoscritte con gli ex dipendenti che avevano raggiunto i requisiti per il percepimento della disoccupazione.
In linea generale è stato previsto che saranno considerati rapporti di lavoro subordinato tutti i contratti di collaborazione qualora la prestazione erogata dal collaboratore venga svolta in modalità esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro.

Questa presunzione assoluta soggiace in tutti i contratti di collaborazione, tranne in quei contratti che, sempre la normativa, evidenzia in maniera esaustiva, quali:
a) Le collaborazioni disciplinate (trattamento economico e normativo) dai CCNL (stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale), in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) Le collaborazioni certificate dalle commissioni di certificazione, in base all’art. 76 del D.L.vo n. 276/2003.
c) Le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
d) Le attività rese da amministratori e sindaci di società e da partecipanti a collegi e commissioni;
e) Le collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al C.O.N.I..

Restano dunque esclusi i contratti di collaborazione con coloro che percepiscono una pensione di vecchiaia e che fino al 24 giugno 2015 potevano stipulare, legittimamente, contratti di collaborazione privi del “progetto”.
Dette collaborazioni erano “generalmente” considerate quasi esenti da eventuali controlli degli organi di vigilanza per il solo fatto che erano stipulati con pensionati che non potevano essere equiparati, a tutti gli effetti, a lavoratori “ordinari”.
Anche se poi nella realtà non era proprio così, tanto che la stessa Corte di Cassazione, in una recente sentenza (sentenza n. 4346 del 4 marzo 2015), aveva affermato come i rapporti di collaborazione effettuati con ex dipendenti, ora titolari di pensione, devono essere ricondotti nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato quand’anche l’attività lavorativa sia formalizzata per affiancare altri lavoratori neoassunti con funzioni di addestramento e formazione, ma che nello svolgimento pratico, la prestazione venga caratterizzata dalle medesime attività previste nel precedente rapporto di lavoro subordinato, su cui si aggiungeva marginalmente la specifica di addestramento e formazione nei confronti dei lavoratori più giovani.
I giudici della Suprema Corte, in questa occasione hanno ribadito, ancora una volta, gli elementi distintivi della subordinazione che non devono essere presenti nelle collaborazioni, al fine di risultare esenti da eventuali disconoscimenti ispettivi. Questi sono: la continuità temporale delle prestazioni, il rispetto di un orario predeterminato, la corresponsione di una retribuzione fissa e prestabilita, l’assenza di rischio in capo al lavoratore ed il coordinamento dell’attività lavorativa con l’assetto organizzativo datoriale, oltre – logicamente – agli elementi classici della subordinazione che sono il potere direttivo, organizzativo e disciplinare ed il controllo datoriale.

In definitiva, proprio prendendo spunto dalla sentenza suindicata, le collaborazioni con pensionati, siano essi di anzianità o di vecchiaia, si può ad oggi affermare che sono ammissibili esclusivamente se non presentano questi indici e se rispettano le indicazioni che la legge e la prassi amministrativa hanno evidenziato essere fondamentali per questa tipologia contrattuale.

Detto questo, nulla vieta che si possa stipulare un genuino rapporto di collaborazione (co.co.co.) con un pensionato di vecchiaia; l’importante è che l’attività lavorativa sia effettivamente idonea ad evidenziare quelle caratteristiche proprie dell’autonomia gestionale che sono alla base della collaborazione parasubordinata.
Il nostro suggerimento è quello di  sottoporre l’eventuale contratto di collaborazione, alla certificazione della commissione appositamente istitutita c/o le direzioni territoriali del lavoro per ottenere un ufficiale riconoscimento della genuinità del contratto.

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